Approssimativamente oggi. Mario Schifano, Enrico Manera, Nicolò Tomaini
La mostra Approssimativamente
oggi. Schifano, Manera, Tomaini, realizzata per Atene Galleria d’Arte dal
gallerista Massimo costa, ha l’obiettivo di mettere a confronto tre generazioni
di artisti: Mario Schifano, Enrico Manera e Nicolò Tomaini. Ad accomunarli è la
stessa visione della società, essi hanno capito il linguaggio dei media e lo hanno plasmato, usato,
smembrato e violentato a loro piacimento. Tutti e tre hanno cavalcato l’onda
del pop, nell’aggettivazione di
“popolare” per far arrivare il loro pensiero al pubblico. Un meraviglioso
racconto dei nostri tempi, dei cambiamenti sociali, anche di quelli ancora in
corso. La loro arte è capace di interconnessioni artistiche, di lucidità
spiazzante e di grande talento.
Mario Schifano, uno degli artisti più importanti della
seconda metà del ‘900, fu un
anticipatore in tutto quello che fece nella sua vita. A partita dagli anni ’60,
quando abbandona il monocromo per
passare all’appropriazione di alcuni elementi del panorama segnaletico
pubblicitario, ricordiamo lo scudo
della Esso e la Coca-Cola, trasformandoli non in contestazione o accettazione ma in
strati di pittura, copiosa, generosa, unica; ma mentre lo faceva, mentre veniva
considerato l’erede legittimo di Andy Warhol,
già stava superando anche quel periodo, tornando ai paesaggi, a volte
frenetici, indici di un Futurismo mai finito, alla pittura mai superficiale,
insieme materica e concettuale. Ed è proprio la pittura, in un momento
metafisico e anti plastico, ad essere
usata come mezzo privilegiato. Schifano deve e ha bisogno di dipingere, come
dichiara lui stesso durante un’intervista per la Rai, privilegia la pittura già dagli anni ‘60 e ‘70
prevedendo quello che poi sarebbe accaduto con le Transavanguardia negli anni
‘80. Tutto questo porta ad un concretismo, ad una comprensione del linguaggio
mediatico, argomento ancora poco analizzato per l’epoca. In alcuni momenti è l’artista contemporaneo
più vicino a Manzoni, in altri è più vicino a De Chirico, molto più probabile è
la sua unicità.
Questo è possibile grazie al carattere duplice dell’artista:
da una parte uomo di mondo, contemporaneo e inserito nei circuiti sociali
dell’epoca, dall’altra l’artista che assorbe i cambiamenti e li anticipa,
estraniandosi da essi. Mario li espone con sicurezza e, come dichiarava spesso,
con infantilismo, ma non nell’accettazione negativa, quanto in quella positiva,
un infantilismo capace di donargli una libertà che le regole dei “grandi” non
permettono. Il suo essere anticonformista ma sempre presente riesce a darci uno
specchio veritiero del nostro tempo, di quello che è stato e di quello che è
oggi.
Enrico Manera, etichettato anche lui troppo spesso come
artista pop è in verità uno degli
artisti della seconda metà del ‘900 più sensibile che io conosca. Sempre vicino
ai salotti e agli artisti della Pop Art italiana, non ne ha mai aderito
pienamente. Definito da Duccio Trombadori : “un cane sciolto” Manera è lo
sguardo lucido, coraggioso e impetuoso che serviva all’Italia in quegli anni.
Un’artista amichevole ma solitario per sua stessa natura. Troppo amante della
giustizia per non avvertire cosa accade intorno a lui, che egli denuncia nei
migliori dei modi, cavalcando il linguaggio dei media. L’artista estrapola i
caratteri iconografici predominanti della generazione pop e del sogno americano,
passando per Andy Warhol arrivando alle star di Hollywood. Il mezzo utilizzato
non è importante quando il messaggio che trasmette. Manera è un guerriero nella
società come il suo Batman, è un eroe
che cavalca nella notte e restituisce tutte le ingiustizie del nostro mondo.
L’artista ha la capacità di denunciare, senza far uso della
facile ed abusata spettacolarizzazione, grazie all’utilizzo dello stesso
linguaggio mediatico e visivo che ormai sentiamo come nostro, appunto
famigliare. Enrico si avvicina alla tecnica della Pop Art quando ormai era considerata superata, questo
accade perché Manera aveva capito una verità fondamentale: ogni artisti ed ogni
critico d’arte del nostro tempo non può fare a meno di avere a mente che il
periodo della Pop Art non è mai finito,
è in continuo sviluppo e lo è grazie alla società che ci circonda, ai media, ai
social, ad internet, alle tv prima ed
a Youtube poi. La Pop art si è
rinnovata, passando per Op Art e tornando ad essere solo pop, non è priva di
contenuti, semmai è la corrente artista più lontana dal superficiale che ci sia. I suoi lavori, a prima vista, dal
carattere divertente e fumettistico,
diventano in-etichettabile, e ci donano
una sensazione di alienamento. Manera porta dentro di sé una tale umanità che
gli sarebbe impossibile non mostrarci la verità, una verità necessaria ed
etica. Basti pensare all’opera Transfert,
alla sua Marilyn, metà warhliana e
metà egizia. Cosa ci è rimasto della vera Marilyn Monroe, e non
dell’iconografia delle bellezza? Lei era una persona, non un personaggio. Ora,
invece, è una reliquia archeologia, vittima del sistema cinematografico.
Oppure la denuncia contro la pena di morte con l’opera Sedia Elettrica, un richiamo a Bacon, un
dolore consapevole che egli mostra con semplicità disarmante, capace di farsi
sentire addirittura fuori dall’Italia, oltre oceano. Quello che però più di
tutto colpisce è la silenziosità del suo essere spettatore, Manera assisteva
alla vita, a volte (necessariamente) chimica dell’amico Schifano, assisteva
alla politica in Italia, agli anni di Piombo, assisteva agli anni ’80,
assisteva e capiva. Paradossalmente faceva lo stesso procedimento logico di
Schifano. In mente entrambi avevano una visione futuristica dei prossimi anni.
Se Manera è collega e amico di Schifano, Nicolò Tomaini è il
degno erede di entrambi. Tomaini affronta un nuovo livello mediatico, fatto di social media e nuovi linguaggi. Un mondo che ha drasticamente cambiato le
proprie abitudini di vita quotidiana, un mondo che vede avverarsi i prognostici
di Orwell, dove i famosi quindici minuti di popolarità decretati da Warhol sono
definitivamente superati e sono diventanti ore intere, di auto-video su Youtube ed internet. Ma quali sono questi nuovi media? Facebook e Twitter sono i primi social network a cui l’artista dedica attenzione. Di forte impatto la
svastica con la f di Facebook, ormai
diventata celebre, lo stesso viene fatto per il simbolo del partito comunista.
Oppure l’uomo impiccato ad un albero dalle fattezze della già citata f di facebook, con il famoso uccellino
di Twitter che lo sorvola. Ancora e Ancora denunce, che l’artista fa,
riuscendo, anche lui come Schifano, a vivere una duplice realtà, fatta di un
mondo con cui ormai dobbiamo per forza fare i conti. Successivamente superata
l’iconografia dei brands e il
materialismo pittorico eccolo utilizzare appieno i mezzi comunicazionali
contemporanei, gli Iphone di ultima
generazione, impalati, come tessere di un domino, come reliquie del mondo di
oggi, ognuno dei quali mostra una lettera formando la parola Ego. La nostra schiavitù è compiuta.
Sempre della serie dell’Iphone è la
scelta di utilizzarli per una crocifissione. Li, il Cristo è esposto al dolore,
su una croce di cellulari, Tomaini sembra chiederci: Chi è uomo? Chi è Dio?
L’uomo odierno è crocifisso dalla tecnologia? La risposta la conosciamo già. Il
nuovo dio è consumismo. Se la gente prima “faceva la coda” per andare a messa,
ora la fa per andare a comperare l’ultimo modello di smartphone, negli anni della seconda metà del ‘900 la faceva per
vedere la partita alla televisione, e questo l’aveva capito anche Schifano,
celebre, infatti, è l’opera Abita a casa
del diavolo che realizzò per i mondiali di calcio del ’90, colori verdi,
lucidi, smaltatiti, una casa dal tetto di color rosso vivido.
Nicolò Tomaini è un’artista che cavalca il proprio tempo, non
si ferma mai, il suo lavoro è fonte di una ricerca continua, che passa dalla
filosofia all’estetismo. Il concetto è la fonte di ogni pennellata e di ogni
scelta. Il profondo rispetto che ha verso i suoi predecessori lo incita ad uno
studio sempre più accurato e lo spinge verso fonti nuovi e mai banali.
Mario Schifano, Enrico Matera e Nicolò Tomaini riescono in
imprese artistiche ardue, prima di tutto non conformano il loro stile alla moda
del tempo, ma è la moda che si conforma a loro, secondariamente la loro arte è
come un’arma potente, capace di far ragionare. Una visione già chiara di come i
media ci influenzino. I loro lavori sono
piccole sfere di cristalli, squarci temporali, da dove noi possiamo vedere il
futuro. Come Schifano aveva capito l’importanza della tv, Tomaini comprende
quella dei social e Manera quella della
propaganda e del cinema. Questi mezzi, innocui superficialmente, sono entrati
sempre di più nella vita di ognuno di noi, comandandola, cambiandola e
ampliandola.
Mettere questi artisti nella categoria Pop Art o Op Art
sarebbe troppo riduttivo, non cercano la superficie ma la usano, la plasmano, e
creano qualcosa di nuovo. Fondamentale per far ciò è il mezzo pittorico, un
ritorno al ritorno, una chiara dimostrazione di come il concetto, attraverso la
pittura, abbia la stessa forza di altre forme più privilegiate ultimamente.
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